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lunedì 17 giugno 2013

La dittatura del Carpe Diem

Disclaimer: questo post è stato pubblicato in data 31 Maggio 2013; a causa di un problema tecnico, la pubblicazione originale è andata perduta. Ci scusiamo per l'inconveniente e vi auguriamo una buona lettura o rilettura. [Kazam82]


Sorseggio un caffè, sto di fronte ad uno schermo cangiante, finisco, come al solito, per pensare über Gott und die Welt, su Dio e sul mondo, come si direbbe in buon tedesco.
In altri termini, è il più classico momento delle seghe mentali, quello in cui si ricostruisce un mondo che, per un verso o per un altro, non ci aggrada fino in fondo. Sia detto di passaggio, beato colui che, Candide e povero di spirito, riesce ad essere felice e pasciuto del mondo in cui vive.
Ed ecco che, tra Dio ed il Mondo - creato a sua immagine e somiglianza, non si perda di vista questo punto - solca verso l'orizzonte un'onda laterale.

La dittatura del Carpe Diem.

carpe diem, quam minimum credula postero, diceva Orazio, molto tempo fa. E nonostante tanto tempo sia passato, questa lezione immagistrale è stata somatizzata a tal punto che ormai è diventata parte del nostro DNA, del nostro comune agire, della nostra vita quotidiana.
In verità, in verità io vi dico: questa lectio ha avuto prima un imbarbarimento atroce dovuto all'azzeramento delle prospettive intellettuali di popoli interi a seguito delle invasioni barbariche, per cui da sognatori bizantini siamo diventati servi glebae, ed abbiamo iniziato a tradurre eminenze intellettuali votate allo stordimento dello studente liceale (ma diem lo traduci attimo o tempo? o ancora, vita? "vivi il presente" spacca il culo ai passeri, ma la Prof vuole una traduzione letterale...) in detti legati alla miseria contadina e alla pochezza di una vita parca evidentemente obbligata. Vivi il presente è così diventato meglio un uovo oggi, che in fondo non importa di chi sia l'uovo, l'importante è averlo, il momento, il dies vale meno perché è intangibile in quanto è di tutti.
Ed arriviamo alla lezione somatizzata e omogeneizzata dai nostri antepassati, tradotta con la mestizia di una società servorum glebae improvvisamente urbanizzata, in qualche misura arricchita e ad ogni modo più incattivita ed incazzata, perché l'appetito vien mangiando, e quando cominci a mangiare bene non hai voglia di tornare a sfamarti a pane e formaggio industriale.

Prendi, fa' tuo, tu vinci perché sei tu, non perché te lo meriti.

Ogni tanto mi chiedo se questo retaggio appartiene alla società italiana o è estendibile a gruppi popolativi più ampî, il futuro forse mi darà una risposta. È un Marchese del Grillo in termini forse un po' più beceri. È la dittatura del momento, del presente, mangia più che puoi perché non sai cosa il domani, a cui non devi pensare, ti riserverà.

Penso persino che una parte sostanziale di questa impostazione mentale, o continuando col latino, forma mentis, derivi anche dall'egoismo positivo di tradizione Smithiana, in sostanza, la radice più antica del capitalismo. Ma in fondo non sono né sociologo né economista, quindi meglio non metterci becco.

Quam minimum credula postero, dedicati il meno possibile a ciò che verrà. Questo messaggio, in tanti modi, ci viene bombardato tutti i giorni. Addirittura ci sono delle ricerche mediche che dicono che chi si dedica di più alla speculazione, intesa nel senso morale più che economico di "proiezione di un pensiero nel futuro", ha più rischi di friggere il cervello ed avere problemi di nervi, fino a crisi di panico e perdere fiducia in se stesso.

Stronzate. Cari amici, lettori, astanti e simpatizzanti, eccovi il mio sano, gridato, incazzato parere:

Sono tutte sonore, magniloquenti ed altisonanti stronzate.

Se c'è qualcosa di sporco, di sudicio, di maleodorante, quel qualcosa è la dittatura del presente. Per quale strana ragione, spiegatemi, dovrei sentirmi indotto a non pensare al futuro? A vivere del momento? Mi sembra l'esagerazione del pensiero romantico, vivi di passioni caduche, vivi hic et nunc, il futuro non è né prevedibile né si può costruire, per questo mettiamolo nel dimenticatoio, riduciamoci a Hyaenae ridentes, passeremo una vita meravigliosa senza domani e finiremo per nutrirci dei nostri sogni morti. Come dei veri artisti romantici, viviamo dei turbini delle passioni, che per il futuro c'è Dio e le sue schiere angeliche o turme di vergini a disposizione per ogni anima pia.
E quando arriva un zé ninguém che tenta avere una prospettiva - di vita, d'amore, di professione - ecco che spesso e volentieri viene tacciato di essere strano, inadeguato, o persino gli viene intimato amichevolmente: "Amico, spegni il cervello ogni tanto".

Rinunciare alla prospettiva del domani significa in qualche misura rinunciare alla prospettiva della razionalità che ci caratterizza per essere umani e non fiere. L'apoteosi di questo fenomeno umano è apparso, in un coro di sonore risa, in una pubblicità diffusa non troppi mesi fa nei cartelloni che hanno fatto la fortuna di Berlusconi tempo addietro, i 6x3: la pubblicità era della Diesel, e ci invitava graziosamente a be stupid. Corollario normale, e persino giusto, all'inquadramento ir-razionale per cui inizi a non pensare al domani e finisci per non pensare mai, che tanto stupid has balls.

Sarò forse apocalittico? Esagerato? Magari questo è un minuto sintomo di scarsa fiducia nei confronti del genere umano? Personalmente direi di no. Tutt'al più è una considerazione determinata da uno sguardo disincantato nei confronti del mondo. E tutte queste parole, suoni, immagini e pensieri, passeranno senza fermarsi, perché dum loquimur fugerit invida aetas, entrée rotonda ed adeguata quando si vuol cogliere l'attimo.

Che in fondo la caducità di tutto questo Dio e mondo, la frivolezza di riempirsi la bocca con parole magniloquenti per apparire più importanti od interessanti di quanto in realtà non si sia, si vede che si ha senso solo nel frangente. D'altra parte, il caffè è finito, la bobina di masturbazione intellettuale si avvia ronzando verso la conclusione, bianca come nella migliore tradizione cinematografica in pellicola, e lo schermo non è più cangiante. Finisce Dio e finisce il mondo, e l'onda laterale è già ad un passo dall'orizzonte. Chissà se, come pensava Ulisse, raggiunti i limiti tangibili del pianeta, l'onda cadrà, e diventerà infinito, nello spazio. O se, semplicemente, tornerà indietro. Pensare, speculare sul futuro, significa anche pensare che c'è un'onda che ritorna solo per noi, per farci cadere e farci diventare infinito. Per non dover più pensare.

[Kazam82]

P.s.: chiedo immensamente perdono ma adoro le "d" eufoniche.
P.p.s.: nella mia tradizione di scrittore di blog, mi piace avere un rapporto diretto coi lettori. Percui se dopo aver letto questo pezzo avete un commento, non esitate a postarlo. Qualunque cosa vi passi per la testa, il vostro feedback è sì prezioso.

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