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venerdì 28 giugno 2013

Citrullus Lanatus

Sono passati ormai due mesi da quando abbiamo dato il via a questo progetto.
Ognuno dei tre autori ha avuto occasione di scrivere due volte, escludendo le dichiarazioni d'intenti di quel fine settimana di Maggio. Tre autori, tre stili, tre registri diversi. Più o meno digeribili e assimilabili, ma si sa: il mondo è bello perché è vario.

Voi che leggete siete arrivati fin qui, cosa che in sé renderebbe raccomandabile un'accurata perizia psichiatrica, e noi che scriviamo ne siamo immensamente compiaciuti.
Alimenta il nostro ego.

Tuttavia di tanto in tanto sento ancora qualcuno domandarmi: “Sì, ma che intenzioni avete?”



Io per primo mi rendo conto che le tre Dichiarazioni d'Intenti Laterali sono poco più che una provocazione, semplice o con triplo salto carpiato e avvitamento a seconda del caso.
Può darsi che abbiano incuriosito, stuzzicato.
Ma non hanno fornito più spiegazioni dei ringraziamenti o le note che molti autori appongono alle primissime pagine dei loro libri.
Ma in fin dei conti era precisamente il loro scopo.


Sia chiaro che mi esprimo a titolo esclusivamente personale: ogni autore parla secondo la propria sensibilità.
Arriva il momento in cui devo tenere a freno l'impulso di rispondere con una becera bischerata e parlar chiaro.
Sto arredando la mia gabbia.

Se questa affermazione vi lascia un po' disorientati non preoccupatevi: è intenzionale.
Se invece riuscite già a intuire dove voglio andare a parare, allora forse non tutto è perduto.

Non mi sprecherò a illustrare di come la nostra libertà sia illusione.
È un cliché trito e ritrito, e oltretutto Anthony Hopkins in “Instinct - Istinto Primordiale” ci riesce molto meglio di me.
E poi sarebbe per voi come ricevere lezioni di educazione sessuale da un panda, non intendo oltraggiare l'intelligenza che alcuni di voi potrebbero ancora conservare.
Resta il fatto che è innegabile. Ne hanno parlato tutti.

La cultura, sia nell'accezione antropologica che in quella didattica del termine, è una gabbia.
A prescindere da origine, etnia, sesso, età, estrazione sociale, estrazione dentale, segno zodiacale, ascendente, spirito guida o totem, tutti cresciamo in questa gabbia e ne siamo modellati, come le angurie cubiche giapponesi coltivate in scatole di plexiglass.

Non che sia necessariamente un male: siamo tanti cocomeri di forma diversa, e cerchiamo di trovare qualcuno con una sagoma simile alla nostra, di identificarci.
O di distinguerci. Fa lo stesso.

Poi ogni tanto qualcuno se ne accorge e ci scrive un libro, ci gira un film, ci compone una canzone.
La prima cosa che uno pensa è che sia un tentativo di forzare la gabbia, di uscire, volare via.
Forse in parte. Forse la spinta iniziale.

Ma in realtà è arredamento. Design.

Decoriamo la nostra gabbia come possiamo, per rendercela più amena, per distrarci, usando i mezzi che abbiamo a disposizione. Seguendo l'istinto, il più delle volte.
Anche chi lo fa assecondando un talento innato, lo fa perché di esso è prigioniero.
Deve darvi un senso.


Allora riempiamo la nostra scatola di plexiglass con protuberanze, gingilli, ammennicoli, in modo che con la crescita rimanga impressa su di noi la loro forma, e possiamo usarla per distunguerci, identificarci, confrontarci.

Quindi, cari lettori, benvenuti nella mia gabbia.
Spero sia sufficientemente confortevole.

[A Malambr]

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